sabato 30 novembre 2013

TuttoFaMedia

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La politica ha bisogno dell’applausometro di Sky?

Posted: 30 Nov 2013 07:31 AM PST

Applausometro

 

 

#ilConfrontoPd era da poco terminato e già Andrea-Scrosati-di-Sky stappava bottiglie di champagne una via l’altra: “totale interazioni con applausometro 7 milioni 100 mila”. 8 retweets e 1 favorite. Addirittura, wow. L’Applausometro. Chiudiamo gli occhi e lasciamoci cullare dai ricordi (questa non è una classifica ma solo un ordine sparso): Pippo Baudo, Enzo Tortora, Gerry Scotti, le ballerine truccate d’azzurro e fucsia, led che si accendono, piedi che battono, tamburi che rullano, amici ascoltatori l’applausooometrooo. Siamo nella prima, primissima repubblica, immersi in una tv antiquata, lenta, badante: l’esatto opposto di quel che Sky vorrebbe essere.

 

 

 

 

Un anno dopo, ed ecco di nuovo il, per usare il termine malato che ci piace tanto, format-di-Sky che tanta fortuna portò alla sinistra italiana: allora in ballo c’era la candidatura a premier, stavolta  la segreteria del Partito Democratico. Un format televisivo veloce, agile, domande secche, risposte altrettanto, conti alla rovescia che incombono. E lo studio di X Factor. Il più grande studio televisivo degli universi di sempre. Domanda secca: può una trasmissione risultare sbagliata malgrado domande secche, conti alla rovescia, malgrado lo studio di X Factor? Risposta: sì. Uno: perché 90 minuti di domande secche e risposte altrettanto sono sempre 90 minuti, cioè troppo. Due: perché, e l’applausometro-virtuale-di-Sky è lì a dimostrarlo, la politica rischia di risultare una mera valletta nell’ottica di un altro interesse: far parlare-di-Sky, muovere il brand, Sky-Sky-Sky, 7 milioni 100 mila interazioni, wow, come siamo bravi come siamo belli, abbonatevi. Dunque Sky, innanzitutto, anche a costo di bizzarre schizofrenie (“per favore non applaudite qui in studio, che perdiamo tempo”) (“anzi sì, applaudite, sul computer”). Riga in fondo alla pagina: Benedetta Parodi, Magnolia, Bake off, Real Time hanno più che doppiato #ilConfrontoPd, ehm, fiato alle trombe al contrario, Turchetti!

 

 

Ma c’è un motivo più profondo (e certamente più sexy dell’applausometro-di-Sky o dei numeri dell’Auditel) che spiega l’insuccesso di questo, scusate se lo uso ancora, format. I contenuti. La politica italiana, sui media italiani, è una politica già fatta di slogan, di riduzioni di complessità che si moltiplicano all’infinito, di virgolettati, di accuse e risposte, di pizzini incrociati e così via. Portare su un palco tre politici tutto sommato nuovi, e ridurli agli ennesimi “Concetti al volo”, agli ennesimi “Pantheon”, alle ennesime “frasette fatte” che veranno ribatutti negli ennesimi tweet e negli ennesimi titoli, è ciò che meno serve alla politica italiana. La politica italiana, sui media italiani, ha un bisogno disperato di analisi, una parola certamente impegnativa per molti e me ne scuso in anticipo per il brutale richiamo. Analisi dei perché e dei percome, analisi dei percorsi individuali (“Chi è questo signore che cita Jefferson?” “Cosa vuole questo con la barba?” “E dove è cresciuto quell’altro che fa le faccette?”). Analisi delle risposte, analisi dei motivi. Analisi. Un vero approfondimento, diverso da quello offerto da sempre sui soliti schermi: questa sì, sarebbe innovazione.

 

 

 

Debat

Al centro: i Vincitori

 

 

Due anni fa, i sei candidati alle primarie del partito socialista francese si confrontarono sul servizio pubblico (France 2, Des paroles et des actes). Un momento di “buona politica in buona televisione” legato fondamentalmente a due fattori, uno di metodo e uno di contesto. Il tempo di parola a disposizione dei sei candidati non soggiaceva alla logica del countdown ma alla logica inversa del crescendo: ognuno aveva un monte-tempo a disposizione (da 0:00 in su) e lo gestiva come meglio credeva a seconda delle domande del giornalista. Ma soprattutto: in un panorama politico-mediatico dominato da lunghi editoriali e lunghi dibattiti, da “testate che non appaltano il colonnino destro alle zinne”, ma anzi esondano spesso in verbosità,  il ricorso a una certa sintesi era esattamente quel che ci voleva. Il confronto fu così un bilancio grazie al quale gli elettori di sinistra capirono (o confermarono) che no, Ségolène Royal non era (più) affidabile, e che sì, François Hollande era la persona giusta per incarnare il bisogno di rassemblement dopo il lacerante quinquennio sarkozysta.

 

 

Confronto

Al centro: il Vincitore?

 

 

Ma i caratteri dei popoli sono anche i caratteri dei media (o viceversa). La scena italiana si convince di non poter fare a meno dell’#ansia come unico hashtag nella notte, e del timer che pende come una spada di damocle non tanto sui candidati che hanno imparato la pappardella a memoria, ma piuttosto sull’incolpevole spettatore, che non ha nemmeno il tempo di recepire una angoscia che già si passa a quella seguente. Non solo, un modello del genere finisce con l’esacerbare al massimo le caratteristiche dei concorrenti, che assumono e accettano la falsa veste del personaggio. Sono le regole del gioco, vince chi si adegua meglio al contesto.

 

 

E così Renzi mostra di aver appreso alla perfezione la ventennale lezione del maestro, e fa di tutto per essere giudicato non per quello che (non) dice ma sulla base della simpatia/antipatia. Le illogiche risposte al veleno rivolte all’incolpevole Gianluca Semprini (che modera il dibattito in modo impeccabile) possono stupire i beati ingenui ma certo non chi segue tutte le serie tv sui politici e i loro spin doctors. Cuperlo si conferma professore che ha davvero a cuore l’interesse dei suoi studenti e cerca di innalzare il livello con le citazioni colte o con l’insistito ricordo di figure storiche che però nessuno ha voglia di googlare (“Rosa chi?”). Sfora, come i professori di italiano che rubavano sempre dieci minuti a quello di educazione fisica, e pazienza se su twitter i soliti bulli accendono il cervello solo per ridacchiare all’ultimo banco. E poi Civati, il vero sfidante del Campione in Carica Renzi (che però aveva perso l’ultima puntata, strano questo gioco). Il Libero Civati accetta la reductio a battutista, e anzi la sfrutta a proprio vantaggio. Si smarca come e quando gli pare (“Posso citare gente viva?”) ed è l’unico a connettersi allo spirito del tempo, che sarà pure fatto di tutta questa superficie, ma permette ancora, volendo, di dire cose profonde, forte e chiaro, senza polvere e opacità. Servirà a qualcosa? Boh, tempo scaduto.

 

 

 

giovedì 28 novembre 2013

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Il primo selfie è del 1839, ma il primo #selfie è del 2011

Posted: 28 Nov 2013 08:26 AM PST

RobertCornelius

 

 

Dice che questo è il primo selfie della storia (con sentenza retroattiva). Lui si chiamava Robert Cornelius, ed era un chimico americano di Philadelphia. Così volle la leggenda:

 

He took the image by removing the lens cap and then running [into the] frame where he sat for a minute before covering up the lens again. On the back he wrote "The first light Picture ever taken. 1839.

 

Un genio del selfie, non c’è che dire. E già che siamo in tema di cose che non sapevo, il primo hashtag #selfie risalirebbe, e uso il condizionale perché gli etnologi non sono ancora concordi, al 2011. E il merito – grazie tante, veramente – è di tal JENNLEE:

 

 

selfie

 

 

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