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Sanremo, la prima serata: chi è questa gente che ha cantato Posted: 13 Feb 2013 08:50 AM PST Ho visto gente che una volta andava nei centri sociali e si sfondava di maria già alle sette del mattino dire che gli mancava Albano. Ho visto gente inneggiare a Totò Cutugno e dichiararsi pronta a votarlo alle elezioni contro Putin. Ho visto gente ma soprattutto ho ascoltato alcune belle canzoni. Alcune.
Premesso che gli interpreti sono tutti bravi anzi bravissimi ma non stiamo parlando esattamente di questo, premesso che io mi dissocio aprioristicamente da tutto, anche da me stesso, e al grido di ABBIAMO I VOTI DA ZERO A DIECI USIAMOLI, ecco a voi
Le PAGELLE delle prime 14 canzoni di questo Festival mai così della Canzone Italiana
1- MARCO MENGONI – L’ESSENZIALE/BELLISSIMO
Gianna Nannini gliel’aveva chiesto: Per favore Marco cerca di essere più sobrio e datti una calmata che quando svisi a me mi girano i coglioni. E in effetti Marco Mengoni, che è bravissimo, e lo diciamo tutti da anni, e si meriterebbe pezzi di un certo livello, e lo diciamo tutti da anni, un poco ha dato retta alla Gianna. Si è tirato su le maniche, ha tagliato qualche vocale qua e là, e ha portato all’orale le due robe più classiche dai tempi di Mariella Nava. Complimenti. L’essenziale è una yawn ballata scritta (anche) dal Re Mida Casalino, evidentemente progettata per uccidere (le fanz di Marco, i sogni di un mondo migliore per tutti noi altri) il cui senso ultimo, dovendo tirare una riga, è che l’amore segue le sue logiche e ti toglie il respiro e la sete. Che bello. L’inciso (mentre il modo cade a pezzi io compongo nuovi spazi) si presta a divertenti rime alternative come quando alle medie cantavamo la versione porno di Montagne Verdi, ma non basta a salvare una faccenda già nata male. Devastato da una tensione che gli fa staccare due occhiaie grosse così a ogni vocale allungata di un quattroquarti, il povero Marco deve poi fare i conti con un pezzo decisamente poco nomen omen: Bellissimo, scritto dalla coppia Giannini/Pacifico che evidentemente stava sfasata di ispirazione. Il testo, la musica, TUTTO ha molti difetti ma su tutti un’esiziale anonimità. La canta Marco, ma poteva cantarla chiunque altro, anche ELSA LILA, ed era uguale. Voto: 2 al primo pezzo, 1 al secondo. Passa L’essenziale e sì, Marco è bravissimo e meriterebbe canzoni più bellissime.
2- RAPHAEL GUALAZZI – SENZA RITEGNO/SAI (CI BASTA UN SOGNO) Cosa dobbiamo pensare di Rafa Gualazzi? NON LO SO. È uno che può vincere tutto ma anche farsi inghiottire dall’oblio. Il secondo posto all’Eurofestival è stata una mazzata dura da assorbire, ci ha tolto troppi punti di riferimento come manco Ratzinger l’altro giorno. Rafa Gualazzi è il nerd, lo sfigato, il cicciottello, l’amico delle ragazze. E non si tratta di libera denigrazione ma di rendersi partecipi di ogni ragione. Infatti Rafa è anche dotato di un innegabile talento compositivo. D’altronde, senza innegabile talento compositivo mica ci arrivi secondo all’Eurofestival (neanche senza Caterina Caselli, se è per quello). Senza ritegno è un gran crescendo col pregio di una cieca acquiescenza e il problema di una mancanza di ossigeno che a un certo punto piglia il nostro e che potrebbe trasformarsi in Sindrome Stefano Filipponi ma poi arriva la tromba del maestro Bosso. A proposito di tromba, Sai (ci basta un sogno) (ma perché queste parentesi) (mi pare Luce) (Tramonti a nord-est) (Caterina, sei proprio fissata, eh). Dicevo. Sai è un pezzo perfetto da INTORTO. Ve lo consiglio quando salite a casa sua per vedere la collezione di farfalle. Ma quando Rafa parte con quel cripissimo SAAAAAAHAHAHAHAHAHAHAAHAHI spegnete il mangianastri sennò vi viene voglia di rivestirvi. O di fare da soli. Voti ai pezzi: 6+7. Passa Sai e boh, magari arriva secondo all’Eurofestival.
3- DANIELE SILVESTRI – A BOCCA CHIUSA/IL BISOGNO DI TE (RICATTO D’ONOR)
A un certo punto, negli anni ’90, mentre i miei coetanei vivevano le vite degli altri ascoltando De Andrè e De Gregori, io mi ascoltavo i cantautori della scuola romana giungendo alla granitica certezza che, se fossi costretto a stilare la classifica dei miei 10 EVAH, due posti sarebbero già presi: Daniele Silvestri e Max Gazzè (a questo aggiungete che Daniele Silvestri è il padre di un paio di figli di Simona Cavallari e il quadro è fatto). Daniele è un cantautore vero, che da sempre coniuga impegno e brio (sì, ho appena usato la parola brio) e da qualche tempo ha raggiunto una specie di consapevolezza mai autocompiaciuta: sa esattamente quello che sta facendo e io, noi, voi, francamente non so cos’altro potremmo chiedere a qualcuno su quel palco. A bocca chiusa è un racconto che cresce di ascolto in ascolto (circoletto rosso per il pre-finale al pianoforte). Il bisogno di te rinnova l’altro filone della poetica silvestriana, persino con minor impattanza ruffianica di altre volte. Voti: 7,5+7 , passa la prima e belle bretelle, me le presti?
4- SIMONA MOLINARI E PETER CINCOTTI – DR JECKYLL E MR HIDE/LA FELICITA’
Ogni Festival che si rispetti a un certo punto, come Lost, deve farti esclamare E MO’ QUESTI CHI CAZZO SONO. Anche se lei, Simona Molinari, a Sanremo c’era già stata da giovane, interpretata chiaramente da un’altra attrice (per me l’hanno ricastata, o è successo qualcosa che non voglio sapere). L’altro, PITER SINCOTTI, pare uno dei pazzi male in arnese di The Following e canta come canterebbe Bastianich, cioè in un modo che si meriterebbe tanti MACCOSA a pioggia. I titoli banalotti non traggano in inganno, le canzoni non sono niente di che. Ma sono perfette per una delle SERATE DANZANTI che sicuramente organizzate di tanto in tanto a casa vostra. Epic Win per il MA TU CHI SEI in ouverture. Se avanzasse da qualche parte uno Shaggy in tuta fucsia e polipanza Simona Molinari potrebbe campare qualche settimana ancora sui vostri simpaticissimi tumblr. Non ricordo più che sapore ha la felicità/I need you back mi mette addosso una SCIOCCA allegria come mai nessuna rissa tra Albano e Luzzatto Fegiz potrà mai fare. Voti: 5,5+6,5, passa la seconda e Simona ecco chi mi ricordi, CLAUDIA ANDREATTI
5 – MARTA SUI TUBI – DISPARI/VORREI
Gulino Pipitone Pischedda. Sì, i Marta sui tubi sono anche dei pizzi miei. Vengono dalla Sicilia Occidentale e questa cosa, QUESTA COSA, è già di per sé un gran bene. I Marta sui tubi sono qua a Sanremo e riempiono la difficile casella GRUPPI ROCK CHE CONOSCONO IN POCHI E CHE FINISCONO ULTIMI ALLA PRIMA PUNTATA NON ESSENDO FORTI AL TELEVOTO. Per fortuna loro il regolamento per quest’anno è cambiato. Il pubblico, certo pubblico, purtroppo è sempre lo stesso. OHU, mi sembrano i Negramaro. Curò, piano con le offese. Sangiorgi glielo dici a qualcun altro, specie se è arrivato dopo. Ah, comunque se ancora ti stai chiedendo chi siano i Marta sui tubi vuol dire che la tua millantata conoscenza del Festival è, appunto, millantata. Due anni fa avrebbero dovuto fare il duettone con Anna Oxa ma fu un’emozione da poco. Anna venne eliminata e il resto è storia (folle) nota. Voti: 7+6,5 Passa ovviamente la seconda che è più stile NOMADI, vah (peccato, volevo sapere i dettagli dell’affaire Benvegnù/Mallarmè)
6 – MARIA NAZIONALE – QUANDO NON PARLO/È COLPA MIA
Maria Nazionale è tante cose. È certamente Gomorra, ma è anche De Gregori, e il gran bel FEATURING con Nino D’Angelo di qualche anno fa. Stavolta Maria Nazionale è Gragnaniello, Avion Travel e Peppe Servillo. E tutti sappiamo cosa succede quando mettiamo nella stessa frase AVION TRAVEL e FABIO FAZIO (Gerardina Trovato si sente un po’ peggio). Maria Nazionale ha il merito di salire sul palco quando Sanremo ha già fatto il pieno di tensioni. QUELL’APPARIZIONE FLUORESCENTE scioglie il cuore dei giusti e lo riempie di bontà: mentre il mondo galleggia nella bugia c’è un bisogno infinito di poesia. Ma soprattutto, quando non parlo HO DUE MINNE TANTE. Il primo pezzo, come disse il mio amico Andrea, sconta certe vicinanze con la one wonder hit della ei fu Rosana, El Talisman. È colpa mia invece è cucita addosso alla Nostra come solo quella VESTA SCULLATA sa fare. Voti: 6,5+6,5 (ma ovviamente nell’universo parallelo è 1+1). Passa È colpa mia e il primo piano stretto mi ricorda un po’ Donatella Finocchiaro e un po’ Agata Reale quella del collo del piede, quell’insolenza un po’ terrona insomma.
7- CHIARA (GALIAZZO) – L’ESPERIENZA DELL’AMORE/IL FUTURO CHE SARA’
Zampaglione fa le canzoni tutte uguali, Bianconi fa le canzoni tutte uguali. Sarà, io non ho pensato né all’uno né all’altro. Piuttosto a questa ragazza dal cognome intermittente che Maria De Filippi rifiutò a Sanremo, che pochi mesi fa lavorava come ragioniera (metti qua: “altro mestiere noioso”) e che ora è sul palco di Sanremo a ricevere gli applausi più scroscianti della serata (sicuramente non per QUELLA TUNICA BLU che indossa). Che vuol dire tutto ciò? Ah beh, non guardate me, io ci ho messo tre puntate di X Factor a farmi convincere e ora la farei capa del mondo. Ma dipende, dal progetto, dallo staff, da chi la consiglia, boh. Mi raccomando, abbiate cura di questa ragazza e se ce la rovinate vi veniamo a cercare posto casa. L’esperienza dell’amore è un pezzo difficile, specie al terzo e quarto ascolto, ma Chiara riesce a tirarlo fuori dalle secche di una scarsa impattanza immediata. Il futuro che sarà corre pericolosamente sul filo di un burrone chiamato MATIA BAZAR sin dalla prima nota, ma ha il ritornello più potente di questa prima serata, agevolato dal comodo ricorso a formule imperative che la canzone italiana conosce benissimo (portami, fammi, dimmi). FAMMI FUMARE VENTI D’IMMENSO è la frase che un po’ tutti noi vorremmo sentirci dire NEI MOMENTI D’INTIMITA’ quando un giorno, vista l’ora, è appena finito, e un nuovo orgasmo sta per cominciare. Voti: 6,5 +7. Passa ovviamente la seconda e nell’aria c’è polline di podio.
A domani con gli altri 7 e mi raccomando stasera coi Modà, vi voglio belli tonici.
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Popolare è una bellissima parola Posted: 13 Feb 2013 06:05 AM PST
Il Festival di Sanremo è la trasmissione più popolare della tv italiana, ma è soprattutto l’eccezione più incredibile dei sistemi radiotelevisivi di tutto il mondo. Provare a spiegare il Festival a uno straniero è un esercizio non solo complicato ma proprio impossibile. Non c’è niente come il Festival, perché forse non c’è niente come l’Italia. Un Paese che decide, una settimana l’anno, di entrare in stato confusionale, sospendendo logica, regole e buon senso e saturando gli spazi del vivere pubblico e privato in un modo irripetibile: l’Italia diventa Sanremo e Sanremo diventa l’Italia, una sovrapposizione mostruosa di lamenti, pretese, costrizioni che si gonfia, di parossismo in parossismo, fino all’esplosione del sabato notte, per poi ritrarsi e scomparire come se niente fosse successo. Tutti tornano a fare quel che stavano facendo prima, fingendo di non essersi mai dedicati con tanta animosità e partecipazione alle canzoni, alle parole e al vuoto quantico. Una finzione però reale, come se qualcuno spegnesse un interruttore e cancellasse selettivamente la memoria di un’intera popolazione. Questo è il Festival di Sanremo. Una cosa di pazzi, anzi proprio una cosa pazza, la cosa più pazza che possa capitare a un Paese che di tutto avrebbe bisogno, tranne che di cose pazze. Ma se là fuori il Paese fa a gara di pazzie come forse mai nella storia, che ne rimane del Festival di Sanremo?
Fabio Fazio è un fuoriclasse con una carriera alle spalle lunga da così a così. Non ha niente da dimostrare a nessuno, le innovazioni di scrittura televisiva e gli interventi sul reale che ha saputo indurre negli ultimi decenni parlano da soli. Questo Festival, il suo terzo, rappresentava, nei fatti, una specie di compensazione per il deprecabile trattamento che la Rai di Verro, Masi e Lei gli aveva riservato dopo il successo di Vieni via con me. Una compensazione nata in un Paese che si illudeva di poter vivere finalmente un’inedita e inebriante sobrietà. Ma l’erba tinta non muore mai, ed è subito stato chiaro che anche questo Festival sarebbe stato molto complicato. Le ipotesi di spostamento, il budget risicato, l’attenzione perennemente altrove (la politica e il Vaticano, i soliti noti, ma stavolta più noti). Uno sfinimento, ancor prima di cominciare.
E infatti ieri sera mancava qualcosa, nel Fabio Fazio che conoscevamo. Sembrava quasi distante, abbandonato al fatalismo di un cerino che, tornando indietro, forse avrebbe volentieri lasciato ad altri. Ma tant’è. Non era facile arrivare dopo le edizioni di Lucio Presta e Gianmarco Mazzi, fortunate sul piano degli ascolti e del consenso generale. Non era facile cambiare progetto creativo (da Simona Ercolani e Federico Moccia a Francesco Piccolo, Serra e gli altri storici collaboratori) concentrandosi come non mai sulle canzoni. Ma era facile, molto, condurre questo programma (che sempre di programma si tratta) dopo il tragico biennio di Gianni Morandi, cantante dal carisma inesauribile cui non si può non voler bene, ma anche il conduttore più impreparato dai tempi di Occhipinti-Fenech. Fazio ha guidato la prima serata quasi col pilota automatico, aiutato dal contrappunto Littizzetto, gestendo bene gli inevitabili imprevisti e smentendo clamorosamente gli approssimati che già si stracciavano le vesti urlando al festival radical-chic. L’immagine di Fazio che canta L’Italiano in un inedito trio con Cutugno e Littizzetto è quanto di più clamorosamente lontano da certi bollini aprioristici che spesso gli vengono appiccicati addosso. Popolare vuol dire per tutti, non bassa qualità.
Insomma, troppo cerebrale per Sanremo, che vive di pancia anzi di intestini, ma comunque ben strutturato per riprendersi da una botta come quella della contestazione di un paio di attori consumati. Momenti di dramma, in cui forse Crozza ha accarezzato l’idea di andarsene, stupito come molti spettatori non tanto dalla pervicacia ululante di questo o quel maleducato, ma che un evento del genere stesse davvero capitando, e per un tempo così eterno, prima che qualcuno intervenisse a sanare un’evidente ingiustizia. Vittima Crozza. La ripresa è stata faticosa (da qui forse la sensazione percepita di lunghezza, ma tanto a Sanremo qualunque cosa tu faccia su quel palco, qualsiasi, eh ma che palle, basta) e ha condizionato il resto: facile, facilissimo, dire dopo che il pezzo era montato male, che si doveva partire da Ingroia e finire con Berlusconi. Facile, facilissimo, pretendere di insegnare il mestiere agli altri. Rimane che il momento migliore del mini-show, per ferocia ed efficacia, è stato proprio la fine, con Crozza aiutato da una spalla perfetta (Fazio), e decisamente liberato da aspettative e obblighi a tutti i costi. Già, le aspettative.
Poi c’erano anche le canzoni, ma questo è un altro discorso.
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