mercoledì 15 gennaio 2014
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Posted: 15 Jan 2014 01:34 AM PST Guardali tutti questi italiani, grandi e piccini, con le dita che prudono sulle loro tastiere, onda che sale sale e finalmente può sboccare: ahò, così s’imparano ‘sti cazzo di francesi e s’abbassano la cresta. Rivalsa personale, quasi più che politica: se fossimo persone, come dire, empatiche, ci sarebbe da stare male per loro. Ma come biasimarli, questi italiani tribolati. Per anni gliel’hanno menata con le buttane minorenni e i festini, ogni volta che uscivano dai confini era sempre la stessa storia: bunga bunga marescià, e giù umiliazioni su umiliazioni da ingoiare a denti stretti (“mammagari avessi leccato io la fica a Belen, almeno potevano darmi del porco a ragion veduta e invece no, cornuto e mazziato!”). Ma ora, miei cari francesi, la ruota gira: tocca a voi essere sbertucciati. E, quando andrete all’estero, capirete cosa si prova a essere esposti al pubblico ludibrio: “Il loro presidente va dall’amante col casco dei Daft Punk!”.
L’altro giorno, un importante dirigente televisivo italiano, molto attivo su Twitter, cinguettava qualcosa a proposito della leggendaria spocchia transalpina, a suo sperare in calo dopo quelle che Le Monde ha definito le incartades privées di Hollande. Non si capisce quale sia il nesso logico tra le due cose (la crisi di una coppia e il carattere di una Nazione) (?), ma ok, parliamo un attimo di questa benedetta spocchia francese, declinata, nell’accezione francofoba di molti italiani, in vari modi:
- “Ma poi, ‘sta cucina, a me non me pare tutto ‘sto che”
Un rubinetto che perde, anzi, un bidet che perde, a battere là dove peraltro il dente non duole (prova a dire a un francese che è presuntuoso: potrebbe darti quell’abbraccio caloroso che non diede mai manco a sua madre). I francesi sono spocchiosi, è vero. Come negarlo. Ma c’è anche un rovescio della medaglia, che gli italiani non conoscono, e probabilmente non vogliono conoscere: i francesi sono anche tremendamente insicuri di sé, e in molti casi quel tono, o faccia, o, ok, spocchia, ci vuole niente a farlo cadere giù. A volte basta un sorriso, o un generico appello alla legge, ma in generale basta far loro buh, anzi BUH, e vedi come crollano. Cose non lampanti, che impari magari standoci in mezzo (e non per sentito dire), e che vanno di pari passo con l’altra verità: i francesi sono depressi, i più depressi d’Europa, forse del mondo. Se chiedi a un Francese “Sei depresso?” lui ti dice di no, ma se gli chiedi “La Francia è depressa?” beh, che domande fai, lo sanno tutti: hai visto le classifiche di consumo di antidepressivi?
Si può dunque essere spocchiosi e fragili allo stesso tempo. Specie se, come capita dalla notte dei tempi, la Francia vive in costante seduta d’autoanalisi. Mentre l’omologa opinione pubblica italiana ogni giorno, non avendo di meglio da fare, si trastulla con i “Letta ha detto Renzi ha detto Alfano ha detto Renzi ha detto” (stimolo –> risposta, De Girolamo –> indignatio, e via andare), i francesi (media, politica, gente) stanno in assemblea permanente, e più o meno ogni dieci giorni cambia il Tema Di Cui Tutti Discutono: una volta è la laicità dello Stato, una volta come organizzare il calendario scolastico dei nostri figli, oppure, come nelle ultime settimane:
LA LIBERTA’ D’ESPRESSIONE VALE ANCHE PER I BUFFONI FASCISTOIDI?
Di solito il cambio di argomento non è deciso a tavolino, no, è una cosa che si sente nell’aria, che a poco a poco scale le classifiche come un singolo inaspettato (Gotye, Avicii) e piomba alla numero uno restandoci il tempo che serve. Da mesi si sapeva che Hollande intratteneva un’amicizia con l’attrice Julie Gayet, e da settimane (dopo la partecipazione della stessa a un talk) si sapeva che la bolla stava per esplodere. E alla fine è esplosa, grazie a Closer, settimanale di gossip di proprietà, rullo di tamburi, di Mondadori, cioè di chi SAPETE VOI. È stato Closer (dicono su imbeccata degli amici di Sarkozy), sarebbero stati altri. E i giornali italiani si sono buttati a pesce sulla notizia, anzi, come l’hanno chiamato, lo scandalo sessuale dell’Eliseo (ricorda, tu studente di giornalismo, questo è il primo criterio di notiziabilità: uscire da un portone con un casco integrale è uno scandalo sessuale). Da quel momento, senza distinzione di sorta o di testata o di fama, opinionisti, ex direttrici, commentatori (tutta gente con libri in classifica, eh) hanno dato prova di grande libertà d’espressione e, al contempo, di una evidenza: certi giornalisti italiani, quando parlano dei francesi, non sanno di che cazzo parlano (il che getta una cupa cupezza su ciò che certi giornalisti italiani dicono dei tedeschi, o degli americani, o degli italiani stessi, ma rischiamo di andare fuori tema). Esempi.
Giorni fa, a Otto e mezzo, Cazzullo del Corriere (ricordiamo che ha un libro in classifica, ha detto alla fine Lilli Gruber) ha dichiarato che Valérie Trierweiler è molto odiata in patria perché ha preso il posto di una che invece è sempre stata nel cuore dei francesi, capace di perdere solo di pochi punti da Sarkozy nel 2007, etc etc: Ségolène Royal. Il giorno dopo, nella sua consueta rubrichetta su La Stampa, il molto affaccendato Gramellini (che, ricordiamolo, ha non-uno-ma-due libri in classifica) ha definito la stessa Royal “statista raffinata”.
Ora, chiunque sappia due-cose-due sulla politica francese sa che Royal non conta più niente, che ha sbagliato ogni mossa politica degli ultimi anni e che, soprattutto, la sua e-mo-ti-vi-tà-to-ta-le mal si concilia con, ehm, tutto. Verso di lei, sì protagonista di un’importante pagina del passato, i francesi nutrono una sorta di indifferenza mista ad accondiscendenza: ok, Ségolène, va tutto bene, ma ora levati che dobbiamo parlare di cose importanti (“ma io sono una combattente! Ritornerò!” “Bon”). E invece no, Royal, passando il confine, viene venduta agli italiani come statista raffinata. Cioè, una che non è statista né, mon Dieu, raffinata, lo diventa, puf, come per magia. Perché? Perché un ruolo del genere manca, così come manca ciò che serve alla costruzione di un racconto, e di personaggi, che qui, da questa parte des Alpes, sono troppo mosci per palati fini come quelli degli italiani.
Quasi un dovere civico, dunque, per un giornalismo che da anni campa di soli retroscena, di allarmi, di terrori e di scandali sessuali, e che è diventato un unico indistinto tabloid, fare questo enorme sforzo, unire i puntini a proprio piacimento, fondersi per l’ennesima volta in un tutt’uno sadomaso coi propri lettori, narcotizzarli con blandizie e carezze nel verso giusto del pelo, finché il terreno è pronto per essere concimato: applicare il proprio filtro-verità a queste foto (dai, ma li vedi come sono spenti i colori?) non è mai stato così semplice. Voilà. Lui, lei (la Ricoverata), l’altra (l’Amante Silente) e l’altra ancora (La Statista raffinata).
E chi se ne frega se i banditi corsi poi alla fine forse non c’entrano che hanno veramente altro a cui pensare, chi se ne frega se la Ricoverata sta fingendo ad arte che quella l’Eliseo lo molla solo se passate sul mio cadavere, chi se ne frega se la statista raffinata è uscita dal cast sette anni fa e in queste ore nessuno-ma-proprio-nessuno se la fila di striscio, chi se ne frega se gli strilloni agli angoli dell’Internet vendono carta straccia un tanto al penny: cari francesi, visto che non siete bravi nemmeno a pettinarvi le storie, beccatevi ‘sto melodramma da chi se ne intende, e finalmente la smetterete di rompere il cazzo con la vostra spocchia.
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I ritmi di The Following, gli intrecci di Criminal Minds Posted: 14 Jan 2014 11:47 AM PST
Fabrizio Cocco, editor di narrativa di Longanesi, esorta gli aspiranti scrittori di thriller a osare e a provare altre strade, magari diverse dai commissari di provincia (“il noir localistico”). Soprattutto, a ripensare ai propri riferimenti e alle proprie aspirazioni. Giusto. Bello e giusto. Sarebbe interessante però soffermarsi con Cocco, che si definisce “serial-dipendente”, sui “ritmi” di The Following, la deludente next-big-thing dell’anno scorso, e sugli “intrecci” di Criminal Minds, forse il meno peggio tra i procedurali Cbs ma ecco, beh, insomma, Criminal Minds.
(Se queste sono le serie tv cui ispirarsi per scrivere dei nuovi thriller, forse è meglio non ispirarsi alle serie tv. O non scrivere nuovi thriller).
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