venerdì 8 marzo 2013

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The Voice of Italy, la prima puntata

Posted: 08 Mar 2013 04:50 AM PST

The Voice è un format molto solido che, sin dalla sua prima apparizione (2010), ha saputo innovare il genere talent show quel tanto che bastava per diventare subito un fenomeno. Ovunque. Negli Stati Uniti la disastrata Nbc ha attinto da The Voice linfa vitale per i propri traballanti palinsesti. Nel Regno Unito e in Francia le corazzate BBC1 e TF1 ne hanno fatto una macchina da guerra con risultati quasi analoghi (tra gli otto e i nove milioni di media, punte del 40% e anche di più).

 

The Voice vive di tre momenti. L’innovazione vera e propria, cioè l’audizione al buio, composta a sua volta da tre soglie ben precise (attesa, esibizione, asta). E le fasi, più normali, della battaglia fratricida e dei live show che portano alla definizione del vincitore. Linguaggio, estetica, montaggio, cura dei dettagli, personalità dei coach, mix di generi (talent ma anche people ma anche game) fanno di The Voice il prodotto perfetto per una rete generalista seria, strutturata, conscia dei propri mezzi e della direzione che il mondo sta prendendo. Praticamente Canale 5 se Canale 5 non avesse rinunciato, da tempo ormai, a ogni velleità. Schiava delle proprie ossessioni (la proprietà) e delle tre entità che ne determinano ogni mossa (Videonews, De Filippi, Ricci), ha bucato, con l’eccezione del marchio Got Talent, tutte le vere novità mondiali dell’ultimo lustro: il cooking, l’adventure di nuova generazione e, appunto, il talent show. Ma The Voice era adatto anche per Raiuno, ultimamente in gran spolvero, nel quadro di un ringiovanimento non solo del target ma proprio delle coscienze collettive: sì, metti sul primo può anche far rima con stare al passo coi tempi.

 

E invece, una scelta aziendale legittima ma anche discutibile, ha portato The Voice sull’illogica Raidue, la rete dei Guardì e dei Magalli, la rete che al pomeriggio rincorre prima le famiglie e poi Fox Crime, la rete che ha sperperato un enorme patrimonio di ricchezza creativa e di abitudine, e ha cancellato con un tratto di insipienza tutti i migliori titoli del proprio listino. È vero, c’era una casella vuota da riempire (L’Isola dei Famosi), ma prendere un format che ha nel proprio dna le masse generaliste (sì, esistono ancora, basta acchiapparle), restringerne il target piazzandolo su un canale soi-disant giovane, ma allo stesso tempo provare a riallargarlo con têtes d’affiche del calibro di Raffaella Carrà e Riccardo Cocciante, è una mossa che da sola vale il premio come miglior “Farsi del male nel modo più contorto che c’è”. Ad ogni modo, la prima puntata di The Voice of Italy, realizzato da Toro Produzioni (e con la direzione artistica di Gianmarco Mazzi) ha registrato quasi 3,4 milioni e il 12,34%. Considerati i precedenti e la concorrenza spietata sugli altri canali, un risultato molto buono.

 

Ma cosa ci ha detto questa prima puntata di The Voice of Italy?

 

 

 

 

 

 

I CONCORRENTI: LACRIME E NORMALITA’

 

Come in ogni talent ben scritto e ben fatto, si parte subito con la vetrina migliore. “Ciao sono Stefania, vivo a Londra da ben quattro mesi, sono qua con i miei nonni e voglio fare la cantante, infatti porto Diamonds di Rihanna”.  Segue molto, veramente di molto: cassiere sarde, ragazzine 16enni che sanno addirittura cantare Halo di Beyoncé e suonare il pianoforte allo stesso tempo (Martina Lo Visco, circoletto rosso per lei), omoni ultraquarantenni che cantavano ai matrimoni e invece hanno “una canna pazzesca”, ragazze accompagnate “dai miei genitori e dalla mia compagna”, assatanati che non si arrenderanno mai, come la peperonata Daniele Vit (Dani, hai fatto Castrocaro, hai fatto Sanremo, hai fatto X Factor, ma te le sei fatte due domande?) o la meteora Valentina Ducros (Non è la Rai, ebbene sì). Nessun picco mostruoso ma un livello medio accettabile per una prima puntata (si sente che c’è stata già una forte scrematura e non si vuole puntare sui “talenti incompresi”). Riprovazione totale per i parenti che facevano i trenini già alla prima nota e tenerezza per quel padre che si asciugava la tensione col fazzoletto di stoffa: in un paese allo sbando da un punto di vista proprio ETICO, il fazzoletto di stoffa è un sano pezzo di legno cui aggrapparci in attesa che passi la tempesta.

 

Piuttosto, e qui sta la vera grande differenza con le altre declinazioni del format, i concorrenti PIANGONO SEMPRE E PIANGONO TUTTI. E non piangono dopo l’esibizione, come sarebbe persino normale, ma già alla vista della prima telecamera. Al netto di ogni osservazione prevedibile (“La televisione è lo specchio del paese”) o di paragoni psico-socio-caratteriali con altri popoli (“Vabbè, ma i francesi non fanno testo, sono stronzi di loro”) significa che il programma è fatto bene: sì, d’accordo la musica, d’accordo la voce, ma qui stiamo facendo un programma televisivo e i programmi televisivi vivono anche di emozioni e di “mi hai bucato l’anima” (ricordo en passant che il vincitore della prima edizione di The Voice Francia ha venduto 15mila copie del suo disco, cioè poche, mentre il secondo classificato ha trovato lavoro in un musical, che non è esattamente una nota di merito, considerando l’industria degli spettacoli d’oltralpe).

 

I COACH: LEGGENDE E GIOVINEZZE

 

 

 

La cantata tutti assieme che apre le danze nel solco di Chris Martin ci fa subito capire che a questa gente si può voler bene. Molte domande ci ronzavano nella testa alla vigilia: come farà Raffaella Carrà, che è una Numero Uno, a stare nel ruolo di Una di Quattro? Quanto tempo ci vorrà a Piero Pelù per intortarsi non dico una concorrente ma proprio QUALSIASI COSA? Noemi, abbiam capito che sei giovane e niente, niente modificherà la bella idea che abbiamo di te (dovevi vincere Sanremo 2012) ma che ne diresti di tagliarti QUEL DREAD A PENZOLONI? E Riccardo Cocciante, chi era davvero costui?

 

Scopriamo che ci sono tre personalità dominanti e competitive e un tenero cucciolotto verde senza età. Raffaella Carrà, mito imperituro, rafforzerà questo mito a colpi di memi e epicità: da segnalare finora una leggera insofferenza a stare seduta (in un paio di momenti stava per prendere il microfono e iniziare a condurre lei lo show: “SIGNORA vuole la cassaforte argento o quella oro?”) e le velate accuse di SCOSCIATISMO a Noemi. La stessa Noemi che, tra le righe, definisce i suoi colleghi dei PEZZI DI ANTIQUARIATO, e Piero Pelù che morganeggia come forse solo Morgan, conferma sapide doti di intrattenitore e riconosce che “sì, se non ero girato a quest’ora me la portavo in camerino”. E poi Riccardo Cocciante. Soffre all’inizio (“Uffa, non mi scelgono, evidentemente non mi conoscono bene, io ai miei concerti BLUSO sempre!”) ma poi si riprende con la forza di uno che ha fatto la storia della musica italiana, con osservazioni tecniche e tanta sincerità (“I cantanti dei miei musical io cerco di plasmarli molto, poi, boh, CHI?”). Qualsiasi sfottò vi possa venire in mente su Cocciante, ricordatevi sempre che QUA DENTRO è forse l’unico che sa dirvi non tanto se siete CALANTI ma perché lo siete.

 

Un elemento di discontinuità con altre edizioni del programma sono i calcoli più dichiarati (“Non ti ho scelto perché eri perfetta per Noemi”) e la chiacchiera spinta tra i coach durante le audizioni. In tal senso ottima la scelta di sottotitolare i dialoghi e le bufferie (Noemi: “Ma è maschio o femmina?” Raffaella: “DONNA, DONNA”). Da conservare per i posteri anche il momento in cui NESSUNO, compreso Tiziano Ferro, ha riconosciuto Troppo buono, che in quel momento un concorrente stava martoriando a colpi di lamenti esofagei. Ah, Fabio Troiano. Il ruolo del conduttore, in un format come questo, è non farsi notare, o nuocere, che è la stessa cosa. Obiettivo raggiunto.

 

 

La stagione di The Voice, da qui a fine maggio, sarà lunghissima. Ma la sensazione, grazie anche alla struttura trimodulare che di fatto significa tre programmi diversi, è che possa mantenere e persino incrementare ascolti e successo. Non sarà facile. Auguri. 

 

 

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The Voice Usa
The Voice UK
The Voice France

 

 

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