domenica 7 luglio 2013
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Posted: 07 Jul 2013 05:00 AM PDT
Appena un mese fa, al terzo turno del Roland Garros, Marion Bartoli veniva schiantata dalla sua bestia nera Francesca Schiavone in due set, in cui l’italiana appariva in forma come in occasione delle due finali consecutive (miraggio: solo tre game negli ottavi contro Azarenka) e l’altra sembrava ormai un’ex giocatrice in pensione. Stanca, due occhiaie da qui all’ingresso dello stadio, lenta e, soprattutto, tenuta in piedi solo da una folle foga che la portava sull’orlo del suicidio o della resurrezione a ogni quindici perso o guadagnato. Scena successiva: Marion Bartoli vince il torneo più importante del mondo ed entra definitivamente nella storia. Ops.
Marion Bartoli non è una bella giocatrice da veder giocare. Pratica questo doppio colpo bimane perfetto per nutrire il suo gioco offensivo ma deturpante e goffo ad ogni metro di campo perduto. Voce del verbo eleganza, sinonimi: squisitezza, distinzione, forbitezza. Contrari: il rovescio a due mani di Marion Bartoli quando Marion Bartoli è presa dal panico.
Si può dunque vincere Wimbledon praticando un tennis che qualcuno ha definito ‘unorthodox’ e con un fisico che scatena patetici riflessi sessisti? Sì, e per tre motivi semplici. Uno) perché il tennis è uno sport completamente pazzo, due) perché a volte i tabelloni ti si aprono davanti come dolci vallate in discesa in cui non devi far altro che sorridere canticchiando trallallero trallallà e tre) perché quando hai carattere, e Marion Bartoli ce l’ha, capita pure di sollevare quel piattone e far esultare tutta la Francia che fino a ieri, cioè quando perdeva, la considerava solo come una di ‘origini corse’.
A volte il parricidio
Moltissimi anni fa, durante un torneo poco più che amatoriale, e durante un’adolescenza in cui credevo che niente, compreso uno Slam, poteva essermi precluso, mi trovai ad affrontare un giocatore più grande, più forte, più strutturato di me. Ma il mio avversario aveva un punto debole: SUO PADRE. SUO PADRE che era seduto in prima fila, un padre orrendo, di quelli dallo sguardo cattivissimo, che se prendi solo sette in latino ti prendono a cinghiate sulla schiena. Un padre che gli indicava cosa doveva fare, dove doveva colpire, cose così. A ogni punto il mio avversario si girava verso di lui e ne ricavava sollievo o drama. Verso la metà del primo set andai in vantaggio e da quel momento cominciai a colpirlo proprio là dove SUO PADRE non voleva. Fu una cosa, ehm, diciamo psicologica. Vinsi 6-3 6-1 e mi divertii molto. Il mio avversario uscì dal campo in lacrime, camminando tre metri dietro SUO PADRE. Non lo rividi mai più. Io andai avanti nel torneo ma persi in finale. Dopo un anno appesi il mio polsino al chiodo. Ma questa è un’altra storia.
Pochi giorni prima dell’inizio di Wimbledon, Marion Bartoli, appensantita nel fisico e nell’anima, ha mandato a quel paese SUO PADRE, liberandosi finalmente di un fantasma che condiziona la vita di molti tennisti, professionisti e non. Un padre che, come molti altri, aveva deciso che sua figlia sarebbe diventata una campionessa di fama mondiale, che aveva lasciato la sua professione di medico per allenarla e seguirla. Ma che mai avrebbe immaginato di non essere accanto a lei nel momento più importante della sua carriera, il sogno di tutta una vita.
Marion Bartoli si è affidata ad Amélie Mauresmo (che l’ha anche riportata in nazionale dopo molti anni di polemiche e litigi con la Federazione) e, paf, tutto è andato come doveva andare. Il signor Walter Bartoli era comunque in tribuna: “J’ai tenu la place qu’elle a bien voulu me donner et j’étais enchanté de venir“, ha dichiarato dopo il match, quasi un estraneo qualunque invitato in tribuna d’onore. Perché il tennis è così, e tu devi essere pronto a compiere o subire scelte crudeli per arrivare fin lassù. Come è successo a Walter Bartoli e a sua figlia Marion, la nuova regina d’Inghilterra.
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