martedì 29 ottobre 2013
TuttoFaMedia
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Posted: 29 Oct 2013 05:07 AM PDT La prima volta che ho sentito nominare il Bataclan di Parigi ero in un negozio di dischi in via Principe di Villafranca a Palermo. Quando compravo i dischi dopo averli letti nelle riviste, quando compravo i dischi senza sentirli prima, o al massimo chiedevo il favore al commesso del negozio di dischi di allungarmi una cuffia per favore, quando i dischi costavano 35mila lire, quando cercavo disperatamente qualcosa, qualsiasi cosa avesse a che fare con Jeff Buckley, che era morto prima ancora che lo sapessi e, soprattutto, quando poi tornavo a casa e ascoltavo sul lettore Live from Bataclan.
Il Bataclan sta sul boulevard Voltaire, ci si arriva scendendo a Oberkampf, che sta sulla 5 e quindi nel pezzo più vivo della città, quello in cui tutti vogliono stare (per sole 48 ore non ci stavo pure io, ma tutto sommato è meglio vivere a gauche, rive gauche). Il Bataclan fu costruito nel 1864, etc, accanto all’ingresso c’è una specie di stele con la scritta arancione (come moltissime in giro per la città) che fa un riassuntino di storia e musica (i francesi adorano fare i riassuntini di storia e musica). Ci sono stato per la prima volta la settimana scorsa, per uno spettacolo musical-satirico di Christophe Alévêque, una specie di Luttazzi che incontra Louis C.K. (anche se non c’entra niente con Luttazzi e con Louis C.K., giusto per intendersi) e ti fa ridere di cose orrende e ti fa sentire in colpa per il fatto stesso di averle pensate, certe cose. In mezzo, canzoni del repertorio rivoluzionario francese e non solo. Per esempio, alla fine, dopo due ore e mezza di spettacolo: una mattina mi son svegliato, oh bella ciao bella ciao. In italiano. La gente si alza in piedi e inizia a battere le mani a tempo. Ora, io sono contario uno) alle standing ovation quoi qu’il arrive e due) ai battiti di mani a tempo. Ma quando vai al Bataclan per la prima volta e scopri che mezza platea francese sa Bella Ciao a memoria e l’altra metà la canta lo stesso, tu che fai, ti metti a fare il prezioso?
(Poi ci sarebbero dei sapidi aneddoti tipo io che vado a un paio di feste a casa di Christophe Alévêque, un pazzesco attico a Pigalle. Solo che lui non sa che sono stato a casa sua).
Tour Paris 13 par tourparis13
L’attrazione del momento è questa torre che sta nel tredicesimo in cui, per molti mesi, decine di artisti hanno vissuto e realizzato cose fino a trasformarla nel “premier musée virtuel e lieu du Street Art éphémère à Paris“. Il punto è che la torre, aperta al pubblico per tutto il mese di ottobre, verrà distrutta tra poche settimane. Tout ça ha creato un passaparola e una febbre sintetizzabili nel PANICO TOTALE. Tra le sei e le otto ore di attesa per entrare, gente che si piazza in fila alle 4 del mattino, gente che prende aerei APPOSTA, gente che si sente male, gente che sta male. Leggende metropolitane che non mi hanno impedito di provarci, una domenica, a mezzogiorno. Eh bah dis donc, LA FOLLIA. Il primo passo è il C’est pas vrai, il secondo è mettersi in fila malgrado un omino vestito di arancione della sicurezza ti dica NON NE VALE LA PENA ANDATEVENE NON ENTRERETE MAI e il terzo, dopo tre ore di che palle e mezzo metro in avanti, girare sui tacchi e andarsene. Penso di tornare il 31 ottobre, ultimo giorno utile, per fare un esperimento: urlare LANA DEL REY È MORTA, provocare un’istantanea morìa di hipsters e tagliare almeno 2/3 di fila. Et si non, tant pis (me la vedo poi sull’internet).
A proposito di torri. Gli italiani in vacanza a Parigi li riconosci fondamentalmente da due cose: portano lo ZAINETTO SUL PETTO e vanno in giro con la bottiglia di acqua minerale EVIAN. Non chiedetemi perché, tanto siete italiani e l’avete già fatto pure voi, non negatelo. L’altro giorno ero sul 91, direzione Montparnasse, e c’era questa coppia di fidanzati italiani con lo ZAINETTO SUL PETTO e l’EVIAN che dovevano andare a Lafayette che c’è a Montparnasse. A un certo punto arriviamo alla place du 18 juin 1940. Alla nostra sinistra, in tutta la sua meravigliosa bruttezza, si staglia la Torre Montparnasse e una scritta gigante, LAFAYETTE. Ma i turisti italiani con lo ZAINETTO SUL PETTO e l’EVIAN non se ne accorgono, perché sono chini su una cartina gigante di Parigi e cercano col dito qualcosa perso nel nulla dalle parti di Belleville. Lei chiede a lui: “Giò, ma dove siamo finiti?” e lui risponde a lei: “Non lo so, mi sa che ci siamo persi”.
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Cronache transalpine a se stesse #1: Leonarda e Hollande, Alex Beaupain e Claire Diterzi, la mostra su Pasolini, gli spaghetti di Adèle, Thuram
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X Factor 7, la prima puntata: ma cos’è questo malessere che provo per te Posted: 28 Oct 2013 10:24 AM PDT LATO A: Vincere giocando male
Il triplo dei voti dell’anno scorso. Lo studio più grande di mai. Il cast di cantanti migliore di tutti i cast migliori di sempre. Come Striscia Dei Bei Tempi Che Furono o come una D’Urso Che Vuole Bene Alla Sua Azienda, X Factor cede all’autoimbrodo a ogni piè sospinto. E se è vero, come ricordano le invasate mail degli uffici stampa (“BOMBA: X FACTOR VA OLTRE IL MURO DEL SUONO”), che i numeri sono ormai da televisione generalista (al ribasso), è anche vero che i numeri sì, sono importanti, ma il resto?
X Factor 7 cambia tutto e non cambia niente. Fremantle sfratta definitivamente Magnolia. Dopo più di un lustro gente che sa fare la tv (su tutti Peppi Nocera) cede il posto ad altra gente che sa fare la tv (su tutti Riccardo Ei Fu Chicco Sfondrini e Gian Maria Tavanti) e non è un piccolo particolare. Un programma è innanzitutto di chi lo pensa, di chi lo scrive su una lavagna e poi lo porta in scena, da chi decide tempi, posizioni, incastri. Cambia tutto dunque, ma non cambia niente perché l’importante è dare l’impressione di rimanere se stessi (“perché io in questa cosa del talento ci credo”) e, al tempo stesso, di muoversi (un cambio di look, un trasloco di studio, un fiore in bocca). X Factor 7 si presenta che è ancora allo specchio ma nel frattempo tutto è già partito. Il retroscena è scena ma non si intona con l’Autocelebrazione che verrà. Risultato: si rimane ai blocchi di una doppia falsa partenza, come se, in fondo in fondo, X Factor 7 sapesse di non essere all’altezza di aspettative davvero troppo elevate per essere appagate.
Si parte con una introduzione di rara cupezza. Sembra la cassetta sbagliata, quella che doveva essere tagliata al montaggio, quella del post Affaire Iuracà, quella del post “Arisa aveva ragione perché sei falso, cazzo”. E invece è solo l’inizio, purtroppo. L’Epica, inseguita con movimenti di macchina sinuosi e con musica che starebbe bene in qualche kolossal (o sull’ultima scena di Pechino Express, quella in cui i concorrenti, e con loro gli spettatori, capiscono che hanno vinto), non viene mai raggiunta, tragicamente depotenziata dalla ‘pelle d’oca’ di Cattelan e dalle immagini che smentiscono le parole: la carrellata di ‘artisti che non hanno fatto successo’ è la peggiore didascalia a un discorso che si vuole viatico di belle cose. È mentire fingendo di non mentire.
In questi sei anni soltanto tre cantanti (su quanti?) hanno saputo affrancarsi dalla propria ingenuità producendo dischi, vendite, successi, dischi, parole ed omissioni: Giusy Ferreri, Noemi e Marco Mengoni. Il resto, comprese le pur talentuose Francesca Michielin e Chiara Galiazzo, sono rimaste a galleggiare in gabbie di consenso certamente robuste (gli abbonati di Sky, la tua timeline di Twitter, Vanity Fair) ma non decisive per cambiare lo stato delle cose. Perché X Factor, e su questo blog lo ripetiamo da anni tra il serio e il faceto, non è musica ma è televisione, più o meno buona. La musica viene dopo, molto dopo, e comunque si spegne sempre prima delle telecamere.
Messa da parte (e speriamo esaurita per sempre) l’Enfasi Che Celebrava Se Stessa, X Factor 7 si accende di luce a nord-est: il garbato ‘duetto del quasi chiasmo’ tra le due ufo del triveneto, Francesca e Chiara, e il momento ensemble tra la classe del 2013 e la cantante Elisa. È luce effimera: la presentazione dei giudici e l’intera messa in scena che accompagna il resto dello spettacolo non riesce a decidersi tra un’estetica woodkiniana (levare) e una più terra terra (aggiungere) che risponde ai bisogni impellenti dei debutti televisivi. Le ‘facce che conoscevamo’ assumono i connotati dello smarrimento. Morgan a metà tra Annie Lennox e il Signor Pannocchione di Nanà Supergirl, la fumettizzazione di alcuni concorrenti e la mediocritas certamente non aurea di altri: tutti sono irrimediabilmente più brutti che mai. Ma la televisione è splendida splendente anche per questo: nemmeno il tempo di prendere le misure e sei già assuefatto a tutto. Altro giro altro neon intermittente incastonato nel microfono. Ho perso la memoria.
Si parte finalmente con la gara e ‘il cast migliore di sempre’ diventa soltanto un’affermazione opinabile in mezzo ad altre affermazioni opinabili. Molte presunte teste di serie deludono, altre annoiano, e al ballottaggio finiscono i meno ado-repellenti (Sky ce li ha laureati). Sul traguardo, come da copione, finisce a schifìo, col povero Mika che fa un accelerato corso di Gente Italiana e Permalosa, con un uomo preoccupato che passava di lì (Bordone) e una sensazione di malessere diffuso ma per fortuna non definitivo: il bello di vincere giocando male è che puoi sempre vincere giocando bene. Basta volerlo. O dire a Tommassini di non esagerare.
Danilo Amerio sudato
LATO B: E poi c’era gente vestita male che cantava sul palco più grande del mondo tanto paga pantalone:
1 – GAIA, Seven nation army
La favorita numero uno sommando #voce, #talento, #malessere, #smarrimento, #mistonewavefunky, parte con una canzone veramente frusta e la rende tutto sommato passabile. Peccato per lo scialle che mia nonna usava ai funerali delle sue amiche e che ne limita la motilità rendendola simile a un opossum con la labirintite. Ventura la trova sexy ma Ventura si sa, è Ventura. La ragazza c’è, bisogna capire cosa ‘ci faccio qua dentro’. Voto: un pallido 5
2- ANDREA, La canzone dei Gorillaz di cui non so neanche il titolo
Sapendo di non poter contare sulla #bellezza, il nostro decide di puntare tuttto su una cerata gialla psichedelica multitasking. E su ‘quei rumori con la bocca’ che, non dico Fiorello, ma proprio Dario Bandiera faceva molti lustri fa al Costanzo Show. Il crocifisso che sbuca dalla barba mostra che questo ragazzo è un bravo ragazzo come non se ne trovano più. Mika ne apprezza le doti e lo loda buttando parole a casaccio per dimostrare di aver ingoiato il Devoto-Oli ieri mattina: reinvenzione, consustanziale, esiziale. Appunto. Voto: 2 (la base fatta con i colpi di tosse ti farà vendere dischi? Io dico gelati)
3- FRIBOIS, Baby can I hold you
Il caleidoscopico duo Ventura-Folli sceglie un pezzo del 1988 di quando nemmeno i genitori di questi infanti erano ancora nati. Si presentano sul palco con un terzo incomodo che non avevamo visto ai provini e un motivo evidentemente c’era. Quando si alzano dallo sgabello per camminare nel FUMO TOMMASSINO è la fine dei nostri sogni e del nostro futuro. Voto: The Dramas and the Papas (almeno non sono stonati) (ma è come, uhm, aver Davide Merlini moltiplicato per tre) (diviso tre: 1)
4- FABIO, Sotto casa
Se qualcuno è riuscito a non farsi distrarre dalla camicia verde, dallo sfondo cangiante sulla giacca (giochino che Boncompagni usava per trastullarsi nelle lunghe ore al Palatino di Roma), dal BIGODINO che hanno dimenticato di togliergli dai capelli, dall’alone Cristiano Malgioglio che vagola per i due minuti e mezzo, ecco: si è gustato una terribile esibizione, proporzionale alle attese per uno dei concorrenti che sembravano più forti qua dentro. Voto: toccato il fondo, ci siamo tolti il dente (2, e mi tengo alto malgrado la frase “Se ci fossero i Beatles andrebbero a X Factor“).
5- VALENTINA, quella canzone dei Black Eyed Peas che non voglio nominare
Cosa è rimasto della shiny little Nelly Furtado prima maniera che ai provini ci aveva sbrindellato il cuoricino? Una tenda del salotto della zia di Chicco Sfondrini. E i Black Eyed Peas. Tragedia è qui, ora e per sempre. Mika, questo è il piede peggiore con cui potessi partire. Se preferisci le altre due allora dillo chiaro e tondo. Voto: 3 ma solo perché è “padronanza del palcoscenico”
6- Alan, CREEP (Spoiler: Alan, non la canzone)
Il nostro padre di famiglia ALAN porta “La canzone preferita della mia adolanza”, di quando quando Matteo Becucci aveva già finito il militare, una canzone che quando la ascolti ti DEVE far venire voglia di suicidarti male. Purtroppo l’IMPATTANZA di un filetto di sogliola bollita non gioca a suo favore. Peccato, perché “Alan, ti sento fraterno, anch’io ho fatto il pianobar”. Ecco, caro Giovanno Bizzarri, ritenta, sarai più performante. Voto: zero con lo stoppino
(You’re from ’90s but I’m a ’70s, BITCH!)
7- MICHELE BRAVI, Una canzone di Fossati che ora tutti fingeranno di conoscere
Vero, c’è della nomenomenitudine in questo ragazzino dagli occhi tristi. Riesce a far sua una canzone di un uomo decisamente più navigato e a non farci pensare a Morgan che fa la gara di playback. Peccato che lo concino a GIANBURRASCA che ha fatto shopping da un tappezziere in bancarotta. Efficace, ma prima di esprimere un giudizio lo voglio vedere a Tale e quale nei panni di David Bowie in Ragazzo solo, Ragazza Sola, la cover italiana di Space Oddity. Voto: 5-
8- ABA, You oughta know
L’ennesima veneta di nome Chiara sceglie come nome d’arte per una presumibile lunga carriera ADDIS ABEBA DETTA ABA. Ok. Siccome c’era troppo Win in questa cosa, sceglie un pezzo di Alanis Morrisette. LoL. Riempie alla perfezione la casella GETTO VOCI CON ORGOGLIO. Ventura le addossa una maledizione definitiva: il mercato delle voci femminili è un po’ PIENO ma per te c’è un posto. Sì, IN PIEDI. A metà tra Porceddu (come dice il sempre lucido Castoldi) e Flavia Cercato, per me è un no e non ti prendevo nemmeno agli Home Visit.
9 – STREET CLERKS, Wake up
Dopo un provvido re-casting che ha sostituito i membri originari del gruppo con altri che stanno quel che stanno facendo, si presentano sul palco col vento in poppa di un singolo in heavy rotation e fanno la cosa più attuale della serata. EH. I pronipoti dell’Equipe 84 sono bravi ma appaganti come un pacco di patatine LIGHT SENZA GRASSI SATURI. Voto: 4,5
10 – LORENZO IURACA’ – Quella canzone di Tenco che ora tutti fingeranno di conoscere
Apparentemente il meno a disagio tra tutta questa gente, l’unico che non è appena uscito da una rehab paga un eccesso di serenità e l’ennesima PROFEZIA di Ventura: “Sei nelle mani del furbacchione di Morgan, bravo, farai strada”. Voto: tanto è uscito, chi se ne frega
11- VIO’ – Quella canzone che ovunque è un successo ma non in Italia
Che poi non ho capito qual è il problema col nome VIOLETTA, voglio dire ci sono delle brave scrittrici che si chiamano VIOLETTA, ma questa gente che sceglie i nomi d’arte segnando infaustamente carriere soffocate nella culla ha la minima contezza di quel che fa? (“Ho comprato un disco di VIO’, MA CU È ‘STA VIO’?”). Peccato, quando ti vestono con una TRAPUNTA usata al mercatino e riesci a non risentirne vuol dire che sei brava. Prima di un giudizio definitivo la voglio vedere a Tale e Quale nei panni di LANA DEL VIO’ con Young and Beautiful. Voto: 5 (la neve finta. LA NEVE FINTA).
12- APE ESCAPE, mashappone dissennato
Giustamente mi stavo chiedendo che fine avesse fatto Danilo Amerio ed eccolo qua, a fare l’elicottering con la parte migliore del suo corpo. Gli stolti si concentrano sulle CIAVATTE infradito ma gli occhiali con le lenti di Vasco del ’98 sono il top. Talmente agghiaccianti da fare pena e risultare gradevoli. ICS moltiplicato per tre fa TONI DEGLI APE ESCAPE.
E per ora è tutto, alla prossima puntata, speriamo live.
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