venerdì 4 gennaio 2013

Affari di stato giusto un pelo sfuggiti di mano




Posted: 04 Jan 2013 08:55 AM PST



In principio fu l’intenzione di François Hollande di tassare al 75% la tranche di guadagni superiore al milione di euro. Proposizione fortemente simbolica, portata avanti dal governo Ayrault, con nessuna conseguenza sulla vita delle persone normali, ma percepita come persecutoria dai ricchi (“La Francia si vendica del talento”). La prima mossa fu dell’appunto molto ricco Gérard Depardieu, che chiese la cittadinanza belga per sfuggire al Fisco, con tanto di casa già comprata nel bel mezzo del nulla, giusto a pochi chilometri dalla frontiera (lasciando così ai più bisognosi la storica e prestigiosa abitazione parigina in rue du Cherche-Midi).


Intanto Ayrault definiva minable (misero, squallido) questo autoesilio fiscale, giudicandolo evidentemente di cattivo esempio in una fase critica per il Paese e per le genti. Cui rispondeva, con una lettera dai toni stranamente morigerati (“OHU, minable a chi? Ma tu cu’ sì?”), lo stesso Depardieu, pronto a restituire il proprio passaporto francese (“Offeso sono”). Seguì grosso dibattito nazionale con apertura di telegiornali e prime pagine dei quotidiani, e relativa intromissione di genti che c’entravano poco o nulla. Come l’attore Philippe Torreton che pigliava a male parole il Depardieu dalle colonne gauchistes di Libération (lo stesso quotidiano che settimane prima aveva condotto un’intensa campagna stampa contro l’uomo d’affari Bernard Arnault, anch’egli convertitosi alla causa belga). O come un’appassionata Catherine Deneuve, pronta a prendere penna e calamaio per difendere il collega Depardieu da attacchi a suo dire grevi e ingiustificati (“L’homme est sombre, mais l’acteur est immense et vous n’exprimez finalement que votre rancœur“). O infine Gad Elmaleh, terza personalità più amata del Paese, che liquidava il Torreton come “en mal de notorieté“.

Occasioni troppo ghiotte per lasciarsele scappare. E così, dopo il furbastro David Cameron, che questa estate si dichiarava pronto a stendere britannici tappeti rossi ai francesi in cerca di riparo, e dopo il piccolo e troppo a lungo in cerca di rivincite Belgio, che modificava le proprie leggi per rendere più facile l’elargizione di cittadinanza agli stranieri (c’est-à-dire les français), ecco dunque il buon Vladimir Putin, evidentemente non troppo impegnato in affari stringenti, dichiararsi pronto a concedere il passaporto a Depardieu. Cosa che peraltro si concretizzò nel giro di pochi, festivi giorni a cavallo tra i due anni turbolenti, mentre peraltro la Corte Costituzionale, così, en passant, dichiarava irricevibile il proposito di Ayrault della tassazione al 75%. E Depardieu (“Per me non cambia nulla, me ne vado comunque!”), memore di tanti bei trascorsi, e viaggi, e pubblicità (e rubli), scrisse una lettera in cui ringraziava sentitamente il compagno Putin, rivendicando una sovietfilia non certo improvvisata (“Mon père était un communiste de l’époque, il écoutait Radio Moscou!”) e tessendo elogi di cose come la democrazia, su cui peraltro non c’era una esatta comunanza di vedute (“J’ai dit que la Russie était une grande démocratie, et que ce n’était pas un pays où un premier ministre traitait un citoyen de minable“), prima di concludere il tutto, con un epico e tonitruante: “Dans votre immensité, je ne me sens jamais seul, Slava Rossi!! Spasibo!” (Gloria alla Russia!! Grazie!).

Ma l’adozione a distanza di Depardieu da parte di Putin non poteva certo rimanere inosservata. Sarcasmi, costernazioni e sfide rivoluzionarie. A qualche ora di distanza, invece, il celebre dissidente russo Limonov, dalle colonne del suo blog, scriveva un, ehm, accorato appello al compagno Depardieu: “Gérard ! Viens nous rejoindre sur la place Triomphale [à Moscou], le 31 janvier, avec ton passeport russe en poche. En effet, tous les 31, à 18 heures sur cette place, les citoyens russes revendiquent traditionnellement le respect de l’article 31 de la Constitution russe qui garantit le droit au rassemblement pacifique. On t’attend, Gérard!“.

Per non parlare di Brigitte Bardot, proprio lei, che decideva di cavalcare l’onda anomala del terremoto Depardieu, minacciando di chiedere anch’essa esilio in terra russa nel caso in cui due elefanti dello zoo di Lyon, malati di tubercolosi, venissero abbattuti mediante ricorso a barbaro metodo detto eutanasia (no, la grande storia d’amore tra Gérard e la Russia non meritava questa indebita intromissione) (Brigitte, ma che cazzo volete tu e i tuoi elefanti di merda?).

E così, mentre mi chiedo se esista un numero massimo di figuracce, passaporti e cittadinanze che una persona, per quanto attore immenso, possa collezionare, guardo fuori dalla finestra e penso che tutto questo gran bordello è nato perché un cristiano una mattina si svegliò e decise che non voleva pagare le tasse.

Posted: 04 Jan 2013 07:10 AM PST


Quindi ci aspetta questo. Teatri e cinema attrezzati con postazioni per live-twittare lo spettacolo o il film in scena in quel momento. Siccome non bastava quella gran iattura della social television. Scuoto. Moltissimo. La. Testa.

Un teatro americano, il Guthrie Theater di Minneapolis, ha da poco lanciato un’offerta diciamo imperdibile: dei posti in balconata (“ma non disturbano gli altri spettatori”) da cui twittare liberamente impressioni e interagire liberamente con gli altri. Dibattito. Durante. Ma perché?




I primi tweet (“The show is about to start!” “The show is beautifully weird!”) mostrano chiaramente la riuscita dell’esperimento. D’altronde, perché alzare gli occhi al cielo quando li si può abbassare allo schermetto dello smartphone? (Godard tappati le orecchie e gli occhi, tu non ne vuoi sapere niente).

(via)

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